La grotta

Nel Comune di Fumane (Verona), sulla vecchia strada che porta a Molina, nella Val dei Progni negli anni ’60 l’archeologo G. Solinas scoprì quello che oggi è chiamato appunto “Riparo Solinas” o semplicemente “Grotta di Fumane”, conosciuta come uno dei maggiori monumenti della preistoria antica. Questo giacimento è di estremo interesse per comprendere il grande cambiamento biologico e culturale avvenuto nell’evoluzione umana attorno a 40.000 anni fa.

La Grotta di Fumane è uno dei maggiori siti archeologici preistorici d’Europa. Le ricche testimonianze conservate nei depositi di riempimento di questa cavità, oggetto di ricerche promosse nel 1988 dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, dall’Università di Ferrara, dall’Università di Milano e dal Museo Civico di Storia Naturale di Verona, rappresentano un eccezionale documento delle  frequentazioni dell’Uomo di Neandertal e dei primi Uomini Moderni.

Questo giacimento è fondamentale per studiare il modo di vita, l’economia, la tecnologia e la spiritualità dei rappresentanti di un’umanità del passato che frequentarono la Valpolicella per oltre 50.000 anni, ma anche per comprendere i meccanismi che hanno portato, attorno a 40.000 anni fa, all’affermazione degli Uomini Moderni in Europa.

Dal 2005 la Grotta è accessibile ai visitatori del Parco della Lessinia attraverso un suggestivo percorso che permette di esaminare le sezioni stratigrafiche e riconoscere le tracce degli abitati paleolitici.

Inquadramento Culturale

Grotta di Fumane si inserisce a pieno titolo nel vivacissimo dibattito scientifico sull’Uomo di Neandertal, la sua estinzione e la diffusione dei primi uomini anatomicamente moderni. Le scoperte avvenute nel sito veronese e la loro pubblicazione su scala internazionale stanno apportando importanti contributi sulla biologia, la vita sociale, la sussistenza e il comportamento anche simbolico delle due specie umane. Le testimonianze relative al comportamento neandertaliano messe in evidenza dal diverso contenuto archeologico della successione stratigrafica sono varie e di diverso significato economico e culturale. La grotta assume un grande interesse, dato che consente di capire come questa specie umana, così bene adattata agli ambienti glaciali del norditalia, disponesse di un ventaglio di conoscenze tecniche che deriva evidentemente dalla capacità di inventare, sperimentare e diffondere idee e gesti su vasta scala, condividendole tra le popolazioni dell’intero continente europeo, che a quel tempo ammontavano a qualche centinaio di migliaia di individui. Industrie in selce scheggiata simili a quelle di Fumane si ritrovano infatti dalle regioni atlantiche fino alla pianura russa e attorno al Mediterraneo, associate a diverse specie di animali cacciate.

Negli ultimi anni, lo studio del comportamento degli ultimi neandertaliani e soprattutto degli aspetti non prettamente economici, hanno marcato uno dei picchi di attenzione da parte della comunità scientifica, impegnata a comprendere quali cause possano avere portato alla scomparsa dei nostri “cugini” e alla loro sostituzione da parte dei primi sapiens tra 50 e 40mila anni fa: come si rapportavano le due specie in confronto all’ambiente e le innumerevoli risorse alimentari e non alimentari che offrivano i Monti Lessini e la pianura dell’Adige? Quant’era profondo il grado di conoscenza del territorio in cui si muovevano, degli animali che vi abitavano, dei giacimenti di rocce da scheggiare? Quali sistemi di identificazione adottavano per loro stessi, le proprie famiglie e i membri della società? Gli interrogativi non lasciano dubbi: identificare tra i Neandertal (cioè coloro che hanno abitato Fumane per almeno 50mila anni) comportamenti etnograficamente “moderni”, cioè più prossimi al modo “sapiens” di pensare e strutturare la società, porta inevitabilmente ad interrogarsi sulla loro origine: autoctona o il risultato di interazioni con i primi rappresentanti della nostra specie che colonizzarono l’Europa 41-40 mila anni fa?

Se, da un lato, il confronto con il DNA fossile neandertaliano rivela le tracce di un flusso genico verso i sapiens euroasiatici, dall’altro l’archeologia esclude contatti tra le due forme biologiche. A Fumane, la successione stratigrafica non mostra alternanze tra le frequentazioni neandertaliane e quelle degli uomini anatomicamente moderni, bensì una netta sostituzione dei primi da parte dei secondi, grandi innovatori nell’organizzazione dello spazio abitato, nella scheggiatura della pietra, nella lavorazione dell’osso e soprattutto nell’arte e l’impiego di materiali ornamentali. Le famose pietre dipinte, che si pongono tra le più antiche d’Europa e le centinaia di conchiglie marine perforate suggeriscono per i sapiens una forte attenzione verso l’adorno del corpo o degli abiti e la capacità decisamente performante di comunicare e di trasmettere idee e concetti.

Inquadramento geografico

Grotta di Fumane si trova a 350 metri di quota lungo il Vajo del Roncomerlo nella valle di Fumane, posta nel settore più occidentale dei Monti Lessini, confinante con la valle dell’Adige. I Monti Lessini sono dei rilievi calcarei che si innalzano gradualmente dalla pianura veronese, formando un trapezio che, nel settore settentrionale, culmina con un insieme di altipiani posizionati attorno a 1.600 m di quota. Da queste zone, si dipartono lunghe e profonde valli disposte a ventaglio, limitate da pareti rocciose. Il territorio è quindi ricco e variegato e nel corso del Paleolitico doveva offrire numerose risorse, quando l’economia era basata sulle attività venatorie e sulla raccolta. Inoltre, varie formazioni rocciose offrivano la materia prima per la fabbricazione di strumenti e armature: la selce veniva raccolta sia negli affioramenti, sia tra le ghiaie dei numerosi torrenti. Grotte e ripari sottoroccia costituivano validi ricoveri, sia per gli insediamenti stanziali, sia per i bivacchi organizzati nel corso delle battute di caccia. Frequentati dai Neandertaliani, dalle forme umane che li hanno preceduti e dai sapiens cacciatori e raccoglitori, questi siti consentono di ricostruire la storia del popolamento preistorico grazie a una densità di ritrovamenti che ha pochi equivalenti in Europa.

La grotta si presentava ai piedi di una paretina rocciosa con un’ampia apertura ad arco rivolta a sud e prossima al ruscello che scorreva sul fondo del Vajo, allora inciso meno profondamente di adesso. La sua posizione era strategica ai fini venatori, in quanto prossima al limite tra la prateria alpina (allora estesa da circa 300-400 m di quota verso l’alto) e i boschi di conifere, che occupavano l’area collinare. Ciò consentiva, nell’arco di una giornata, un facile accesso sia ai terreni aperti e agli ambienti rocciosi, dove venivano cacciati stambecchi, camosci, qualche bisonte e vari uccelli, soprattutto gracchi, sia ai boschi di conifere popolati da cervi, megaceri, caprioli, fagiani di monte. L’alta pianura, con gli ambienti paludosi dove si potevano cacciare le anatre, era vicina.

Stratigrafia e significato paleoclimatico

I ripari sottoroccia e le grotte possono registrare, attraverso i sedimenti che le riempiono, la traccia dei mutamenti climatici e ambientali. È anche il caso della Grotta di Fumane, i cui depositi costituiscono una importante fonte di informazioni per ricostruire le modificazioni dell’ambiente dei Lessini durante l’ultima glaciazione. I numerosi strati, le loro caratteristiche e il loro contenuto paleontologico, scandiscono infatti gli eventi climatici che si sono manifestati in un intervallo temporale di oltre 90.000 anni, includendovi la fine dell’ultimo Interglaciale e attraversando il Primo Pleniglaciale, l’Interpleniglaciale e il II Pleniglaciale, con vari passaggi da climi temperati a freddo-aridi. Per l’intera successione si dispone inoltre di date effettuate con i metodi della termoluminescenza e del radiocarbonio.

Alla formazione del deposito stratificato di circa 12 metri di spessore hanno contribuito diversi tipi di sedimenti: sabbie, polveri, piccoli frammenti spigolosi e massi rocciosi più grandi caduti dalla volta e dalle pareti della grotta. Le sabbie derivano dalla corrosione della roccia in cui è scavata la grotta, che ha determinato la concentrazione di cristalli di dolomite. Le polveri sono state invece sollevate e trasportate dal vento nelle piane con scarsa vegetazione arborea in condizioni di clima freddo e arido. Infine, i cicli di gelo-disgelo hanno provocato l’allargamento delle fessure della roccia determinando il distacco di schegge formano le brecce. Il deposito si suddivide in quattro macro-unità stratigrafiche, definite sulla base delle caratteristiche litologiche o del contenuto di materiali di apporto antropico. Al di sopra di un accumulo di sabbie dolomitiche residuali, sormontato a sua volta da una breccia con grandi massi parzialmente alterati, si riconoscono verso l’alto:
– la macro-unità S, costituita da prevalenti sabbie dolomitiche colluviali miste a pietre calcaree, che si articola in una serie di strati tabulari, alcuni dei quali contengono contengono strutture di combustione e centinaia di manufatti in selce musteriani e di resti ossei animali;
– la macro-unità BR, che marca un netto cambiamento litologico rispetto alla precedente, dovuto alla scomparsa delle sabbie e alla massiccia presenza di limo eolico (loess) misto a brecce calcaree di origine crioclastica. Ad esclusione del suolo d’abitato dello strato BR11, l’antropizzazione musteriana è, nel complesso, meno intensa;
– la macro-unità A, litologicamente non molto differenziata rispetto alla precedente, che si caratterizza soprattutto per l’elevata antropizzazione dei sedimenti;
– la macro-unità D, che chiude al tetto la sequenza obliterando le gallerie superiori mascherandole all’esterno. La sua origine è imputabile principalmente ad eventi franosi e al riassestamento dei detriti avvenuti tra l’Interpleniglaciale e il II Pleniglaciale. L’antropizzazione è ancora marcata nelle unità di base (D3) e diventa sporadica superiormente (D1d).

processi-formazione-fumane

Tutte le unità hanno restituito abbondanti resti di mammiferi. Tra gli ungulati, che rappresentano prevalentemente le prede dei cacciatori, sono più frequenti il cervo, lo stambecco e il capriolo, meno frequenti il camoscio e il bisonte. Sono presenti anche resti di megacero, un grosso cervide con palchi enormi, attualmente estinto. Molto rari il cinghiale e il cavallo, i cui resti provengono esclusivamente dagli strati più profondi. Tra i carnivori sono presenti l’orso bruno e l’orso speleo. Abbastanza comuni sono il lupo, la iena e la volpe. Tra i mustelidi è di particolare interesse il ghiottone, di ambiente marcatamente freddo, che attualmente vive nella taiga e nella tundra siberiane, e sono segnalati la martora, la puzzola, l’ermellino e la donnola. I felidi sono presenti con gatto selvatico, lince, leone e leopardo. Tra i mammiferi sono ben rappresentati anche la lepre alpina e la marmotta, e sporadicamente il castoro.

Il complesso faunistico comprende anche 47 specie di uccelli, tra le quali sono più frequenti il fagiano di monte, il re di quaglie e il gracchio alpino. Ad essi sono associate anche alcune specie di ambiente acquatico quali anatre e tringhe, ma gli uccelli più frequenti sono quelli di ambiente silvano, roccioso, e di prateria alpina.

Livelli abitativi

Se si esclude la parte più interna della cavità, dove è conservata una paleosuperficie una tana di iene del Pleistocene, tutti gli strati archeologici hanno restituito testimonianze riferibili all’Uomo di Neandertal, che frequentò ripetutamente il sito all’incirca tra 90mila e 45mila anni fa, ai primi Uomini moderni a partire da 42mila anni fa fino all’abbandono dell’abitato avvenuto attorno a 30mila anni. Le ultime evidenze della frequentazione sono rappresentate dai resti di un focolare all’entrata della galleria principale e da alcuni manufatti in selce.

Livelli abitativi aurignaziani

Di grande interesse sono i livelli aurignaziani, per la ricchezza di resti e la presenza di strutture legate all’attività degli Uomini Anatomicamente Moderni. Probabilmente l’area abitata si estendeva per un centinaio di metri quadrati. Essa fu opportunamente spianata per ottenere una superficie di calpestio orizzontale, sulla quale insistono, leggermente infossati, i focolari più antichi, cioè buche circolari con livelli di ceneri e carboni, accanto a buche di palo e accumuli di ossa, manufatti di selce o d’osso, carboni. Sei focolari alla base dello strato A2 occupano la zona centrale dell’area antistante la grotta e dell’area atriale. Quello più ampio (S10) è costituito da una buca circolare, col fondo arrossato dal calore, riempita da cenere e da un livello di carboni, e circondata da grandi lastre di pietra, vicino a quattro buche di palo.

Ai numerosi resti di pasto, rappresentati da ossa di mammiferi e di uccelli, si associano decine di migliaia di manufatti di selce. La loro distribuzione areale suggerisce che nell’area abitata vi fossero settori utilizzati per attività specifiche. Gli scarti sono distribuiti presso la parete rocciosa, mentre i prodotti di prima scelta si trovano in prossimità del focolare S10. Il trattamento delle pelli e le operazioni che comportavano incisioni di osso o pietra venivano realizzati prevalentemente in altre zone. Le punte utilizzate per armare giavellotti e probabilmente frecce sono più frequenti attorno ai focolari S10, S14, S16 e S17, mentre le lamelle inserite in serie in supporti di legno per ottenere lame e seghe sono più frequenti nell’area esterna, tra i focolari S10 e S17. Molto significativi anche gli attrezzi ricavati da materie di origine animale, come l’osso e il palco dei cervi. Fumane ha dato alcune punte ricavate da palco di cervo, di un tipo molto caratteristico: si tratta delle punte a base fenduta, diffuse nell’Aurignaziano in tutta l’Europa. Inoltre spatole, punteruoli, aghi.

Il deposito aurignaziano ha dato anche un buon numero di oggetti ornamentali, si tratta di quattro incisivi di cervo con solcatura alla radice e di conchiglie marine raccolte lungo le coste mediterranee e trasportate nel sito. È inoltre presente una costa di piccolo erbivoro decorata con due serie di tacche trasversali disposte lungo i bordi.

Oltre a questi reperti, sono venuti in luce cinque frammenti di roccia, staccatisi dalla volta, dipinti con ocra rossa. Un primo frammento, ritrovato sotto l’arcone d’ingresso, presenta su una faccia la sagoma di un animale, forse un felino. Un secondo frammento mostra la sagoma di un antropomorfo, simile alle figure composite dell’arte paleolitica interpretate come stregoni o sciamani. In seguito sono venuti in luce altri frammenti, su 3 di questi si distinguono rispettivamente un motivo di dubbia interpretazione, uno ad anello e uno incompleto. Nell’ambito della produzione artistica, le più importanti grotte dipinte in età paleolitica non vennero mai utilizzate come luoghi d’abitato, ma furono utilizzate come luogo di iniziazione e di culto: la loro realizzazione richiedeva quindi l’intervento di artisti qualificati. Le pitture di Fumane erano invece funzionali all’abitato aurignaziano, collocato sotto di esse.

Livelli abitativi uluzziani

Nel settore atriale della cavità, gli strati uluzziani A3 e A4 hanno restituito focolari e altre strutture di abitato. Lo strato A4 non è così ricco di testimonianze come lo strato A3. Solo una struttura, caratterizzata da una concentrazione di carboni, fornisce qualche evidenza del più antico insediamento uluzziano. In associazione ad essa sono stati rinvenuti industria litica, resti ossei e un coltello a dorso. Molto più consistenti sono invece i resti del più recente insediamento uluzziano, nello strato A3. Nella zona centrale riparata dalla volta attuale della galleria A, la rpima sulla sinistra, sono state portate alla luce varie strutture, alcune riferibili ad attività di combustione, altre ad attività di scarico. Le più interessanti sono due strutture, denominate A3SI e A3SIV. La prima è un livello a carboni circolare, con rare ossa bruciate, che sormonta un orizzonte di sedimento arrossato dal calore. Negli immediati intorni si localizzano schegge e resti ossei, con stato di conservazione fresco, posizione orizzontale o comunque concordante con l’interfaccia. La seconda è una concentrazione di materiali, prevalentemente selci, alloggiata in una modesta depressione subcircolare. Ai manufatti litici erano sono associati vari carboni e rari frammenti ossei, di cui uno combusto. Viene interpretata come rifiutaia.
L’economia alimentare degli uluzziani prevedeva l’apporto di carne di erbivori, anche se non mancano indicazioni di predazione nei confronti dei carnivori. La caccia era incentrata sul cervo e lo stambecco, ma anche sul megacero, il capriolo, il bisonte e il camoscio. Anche il lupo, la volpe e l’orso bruno mostrano evidenze di sfruttamento. La predazione riguardava tutte le classi di età del cervo e lo stambecco adulto.
La scheggiatura della selce mirava ad ottenere schegge, ma anche schegge allungate e lame poi trasformate in bulini, grattatoi, raschiatoi, denticolati e pezzi “scagliati”, strumenti questi ultimi utilizzati come scalpelli per aprire le ossa degli animali cacciati. Caratteristici sono i pezzi a dorso curvo, ottenuti abbattendo uno dei bordi della scheggia in modo da irrobustirlo, mentre l’altro era lasciato tagliente.

Livelli abitativi musteriani

Seppure siano stati indagati su superfici limitate, i numerosi livelli archeologici che scandiscono le porzioni media ed inferiore della successione stratigrafica di Fumane costituiscono una ricca fonte di informazioni utili allo studio della cultura e del modo di vita dell’Uomo di Neandertal. Essi hanno restituito decine di migliaia di manufatti litici e di resti faunistici associati, in qualche unità, a suoli d’abitato in ottimo stato di conservazione. Dei vari livelli, alcuni appaiono più importanti degli altri. Lo strato BR11, ricco di reperti, conteneva ossa ancora connesse tra loro degli arti di stambecchi e cervi macellati sul posto. Uno degli strati più antichi, denominato S9, ha restituito una colonna vertebrale di stambecco e varie schegge e raschiatoi. Straordinariamente conservati sono anche i resti dei focolari rinvenuti in quasi tutti i livelli ma soprattutto nello strato BR6, dove ne sono stati contati nove attorniati da schegge, raschiatoi e ossa di erbivori. Da segnalare anche il livello A5, che conteneva un focolare attorniato da pietre (riprodotto in resina ed esposto nella grotta). Infine, risalendo la sequenza, si incontrano gli strati da A11 a A5, noti per il loro abbondante contenuto in ossa di mammiferi ed uccelli appartenenti a una fauna ricca e varia. La caccia, infatti, era diretta soprattutto a cervi e stambecchi, prevalentemente giovani-adulti e adulti, ma riguardava anche caprioli, megaceri, camosci e bisonti, più raramente cavalli e cinghiali. Sono rappresentati anche i carnivori: rara la iena, presenti orso bruno e orso speleo, abbastanza comuni il lupo e la volpe. Tra i resti di uccelli si segnalano il fagiano di monte, il re di quaglie e il gracchio alpino.
L’intensità dell’occupazione neandertaliana è testimoniata anche dall’abbondante numero di ossa fratturate intenzionalmente allo scopo di recuperarne il midollo. Su molte di queste sono visibili le strie lasciate dalla scheggia di selce utilizzata per macellare l’animale, cioè scuoiarlo, disarticolarlo e staccarne la carne. Schegge di osso potevano essere recuperate per utilizzarle come ritoccatori, cioè per percuotere il bordo delle schegge di selce e trasformarle in raschiatoi.
Estremamente interessante è la variabilità nei metodi di scheggiatura della selce, nella tipologia e nelle dimensioni degli strumenti. Nelle unità inferiori, dalla più antica (S9) fino a BR7, l’unico metodo utilizzato era quello Levallois, che permetteva di ottenere schegge rettangolari o triangolari dotate di margini regolari e taglienti, la cui trasformazione in raschiatoi, punte e denticolati avveniva per mezzo del ritocco utilizzando schegge d’osso o ciottoli di pietra; da sottolineare tra gli strumenti la presenza di rari bifacciali nella porzione intermedia della serie. Un’importante cambiamento si registra tra le unità BR6 e BR4, dove compare il Musteriano Quina: ne sono caratteristici i grandi raschiatoi laterali e trasversali convessi. Il metodo Levallois ricompare nell’unità A11 e domina la produzione litica fino a A10, mostrando forti analogie sia per quanto riguarda le varietà di selci utilizzate, che per la tipologia degli strumenti. Viceversa, l’unità A9 mostra un’ulteriore modificazione tecnologica legata all’applicazione del metodo di scheggiatura Discoide per produrre schegge corte e spesse. Lo studio di questi manufatti sta rivelando la loro efficacia nel lavorare legno o pelle umida o secca. Nell’unità soprastante, al di sopra di un livello sterile, le ultime fasi di occupazione neandertaliana della cavità (strati A6 e A5) presentano nuovamente una dominanza della scheggiatura Levallois.
La grotta, perciò, è stata sede di accampamenti di diverso tipo e di diversa durata. Si ha modo di pensare che durante i massimi raffreddamenti climatici (es. strati da BR10 a BR1), i gruppi neandertaliani fossero meno numerosi e si recassero in queste zone solo per brevi battute di caccia, mentre in altri momenti, quando il clima era più favorevole e le montagne dei Lessini offrivano maggiori risorse (es. strati da A11 a A5), il gruppo fosse più numeroso e frequentasse questa zona per un’intera stagione o più.